PEDRO FIOL
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PEDRO FIOL - PERCORSO OBBLIGATORIO
Pavia, Italia 2011

Palazzo del Broletto, Pavia
by Marilisa Di Giovanni

Una installazione dal titolo rivelatore del mondo da cui parte l’artista Pedro Fiol “Cuba de todo un poco” introduce alla Mostra allestita al Broletto di Pavia: Cuba-Milano i due mondi convivono in lui :nell’installazione c’è tutto il mondo da cui è partito, giovane inquieto come testimoniano gli studi irregolari, la forte vocazione artistica testimoniata da una raccolta di disegni, continui esercizi che rivelano la facilità di espressione grafica e tecnica, ma sempre libera da costrizione scolastica, studi universitari iniziati forse anche per seguire inconsciamente la tradizione di famiglia e presto abbandonati.: Si rivela ben presto, e la sua pittura negli anni a seguire lo conferma un solitario, insofferente e inquie-to, non inquadrabile in nessuna corrente artistica e neanche si rintracciano testimonianze dell’arte cubana di quegli anni profondamente influenzata dalle avanguardie europee del Novecento.

L’installazione racchiude tutto il mondo da cui proviene, rivela la presenza e la memoria della sua isola in cui entro i confini della pianta tracciata sul pavimento sono raccolti oggetti i più vari, le sigarette i vasi di colori sia delle spezie sia dei pigmenti usati ,un giradischi che ripete musiche della sua terra che si anima nelle danze caraibiche, tracce di cibo rimaste sui piatti, un cavallo ricordo dei giocattoli della sua infanzia.
Cuba sempre presente nel suo intimo, nella sua memoria e recuperata con una sofferenza che va stemperandosi e placandosi come sembra di leggere nelle opere più recenti.
Nel 1998 compie un viaggio in Europa che attraverso varie tappe gli fa conoscere l’arte della tradizione e le più moderne espressioni del contemporaneo si stabilirà poi definitivamente a Milano dove ha la possibilità di lavorare in uno studio tutto suo..
La sua pittura è sempre espressione di una personalità tormentata, inquieta in cui affiorano memorie antiche, vita vissuta, letture che lo hanno profondamente scosso, agganciato emotivamente : è il caso delle cinque “stanze” della serie Io e Dostoevskij, non presenti nella mostra, la cui drammaticità lo prende e per liberarsene deve scavare nella propria realtà e imprimere sulla tela le emozioni.

Nel suo procedere per nuclei tematici è la memoria di una realtà vista ,dimenticata e fatta affiorare nella presenza di un persona che emerge dal suo passato, nella serie “Momentos” in cui un uomo si muove in ambienti scarni, in uno spazio che racchiude lo scorrere del tempo, sempre interni lavorati con sapienti impasti di colore, marroni e grigi, stretti come prigioni in cui il tempo scorre lento nella quotidianità accettata con stanchezza e rassegnazione.
E’ la cultura europea tra espressionismo figurativo ed esistenzialismo introverso e sofferto ad influenzare la sua espressività: Pedro Fiol è curioso, si guarda intorno ma l’impressione è che cerchi di mantenere una sua “purezza”, dimostrando distacco dalle tendenze e dai confronti che i critici avanzano nei loro scritti. Più volte il riferimento più frequente è alla pittura di Francis Bacon e una delle sue opere che colpisce l’osservatore è il corpo abbandonato
coperto solo da un drappo giallo, Cristo morto o anonima vittima richiama nella lavorazione e nella costruzione in cui l’ombra corrode la materia l’artista inglese (Pedro Fiol ha dichiarato di averlo conosciuto solo dalla grande esposizione tenutasi a Palazzo Reale a Milano)

Ancora ad un reale in cui la vita sembra pesare anche fisicamente è la tela “Noia” una grande tela del 2006 in cui i grandi occhi neri della donna, che fissano il vuoto, cerchiati o bistrati per attesa vana di qualcuno come anche l’abito bianco scollato fa pensare, la testa poggiata stancamente sulla mano, le spalle ricurve esprimono una mesta accettazione della propria realtà:
Ancora una volta lo sfondo scuro lavorato a griglia costituisce una sorta di prigione in cui la vita scorre: un oggetto luminoso, dalla forma trapezoidale forse un metronomo? segna l’inesorabile passare del tempo.

Del 2008 sono quattro eleganti e stilizzati ritratti femminili, ”Colgados” ad olio su carta, in bianco e nero, in cui si sente un’influenza della fotografia, costruiti con pochi tratti con tracce di nero ra-ggrumato sui lunghi colli, sulle esili spalle dalle scapole evidenti, dalle braccia magre dalle mani scheletriche dalle lunghe dita nodose che richiamano certe cifre stilistiche di Schiele.
Sono tutte del 2008 le donne raggruppate nel ciclo dal titolo suggestivo ma misterioso “Ropa vieja”, tele di grandi dimensioni lavorate con una tecnica mista di olio e smalto (e qui la sua pittura per molti versi mi riporta ad un accostamento lontano nel tempo a quel periodo della pittura milanese degli anni tra la fine del ‘50 e il ‘60, tra realismo esistenziale di Ferroni, di Ceretti e dei nucleari, a cui Fiol sembra particolarmente interessato.) Sono donne simbolo, per l’artista, della femminilità che gli si presenta ora languida, sognante ma di-stante, con lo sguardo rivolto altrove, ora erotica, sensuale, quasi impudica nell’offrirsi, ora aggressiva con una certa durezza, per lo più giovani o invecchiate con tristezza, perché la vita ha scavato i corpi, le braccia le mani che diventano adunche dalle dita nodose che ricordano ancora la cifra stilistica di Schiele.
Si accoccolano su poltrone con tappezzerie lavorate in rilievo che accentuano il senso di realtà come gatte o in atteggiamenti di difesa o di profonda inquietudine,
iloro corpi sono magri, spigolosi come la civiltà contemporanea vuole, catturano lo sguardo dell’osservatore nel gioco degli occhi diretti che danno una sensazione di estrema solitudine nella quale si proietta come in uno specchio la condizione umana, il senso della vita...Sono lo spirito delle donne di oggi, l’espressione di un’epoca che in pochi tratti emerge con la forza della riflessione personale sulla complessità e contraddittorietà della donna e sulla percezione della sua identità.

Colpiscono ancora una volta gli sfondi, lavorati con una sua particolare tecnica, a colpi di spatola, di spazzola, di spugna come stendesse un intonaco, dai colori del marrone, del bruciato, del giallo oro, dei grigi plumbei, dei neri fondi o con colori dai forti e stridenti contrasti.

Questi sfondi hanno un valore pittorico altrettanto forte quanto le figure femminili: sono un quadro nel quadro.
Alcune figure nascono dal senso e dalla identità della sua isola, così ricca di ritualità, di magia, di simboli in cui si ritrovano segni culturali e semiotici che si intrecciano: sono Ropa Vieja VII, figura inquietante nel cui abito affiorano volti del suo passato o Ropa Vieja VIII dal viso scavato, dagli occhi febbricitanti dall’abito dal bel colore giallo che crea un contrasto forte con la tristezza che la pervade.
Significante i ricordi, forse di un animo che a poco a poco va placandosi affiorano come nella tela “Sottosuolo” del 2010 in cui il bel viso di donna assume una certa dolcezza, la tavolozza tende a schiarirsi con pennellate di giallo e bianco che seguono le linee del corpo mentre lo sfondo, pur conservando una zona d’ombra si apre in un colore dorato; e ancora in “Sibil” forse la stessa donna, un bel nudo di donna sdraiata di schiena coperta appena da un drappo sfrangiato, i cui ricordi emergono in un momento di sonno: simbolicamente a destra dallo sfondo con graduali passaggi da zone scure ad un luminoso giallo affiorano fiori colorati, sono i pensieri felici sereni, mentre a sinistra figure dai visi nascosti, forse il rapporto con le persone li leggo come rapporti conflittuali, difficili e tormentati.

“Anch’io voglio giocare” :un ragazzino con un bel viso intenso tiene in mano dei fili a cui sono attaccati
dei piccoli busti, burattini forse, che sembrano rendere colorato il periodo dell’infanzia, anche se il mondo intorno è nero con qualche raro bagliore. Ancora una volta ricordi, forse il ragazzino è il pittore stesso, memorie, nostalgie emergono nella pittura di Fiol che si rivela anche uomo ironico quando si serve di un quadro icona di tutta la pittura del passato in “Cada uno con su Monna Lisa” giocando sulla figura del giovane calvo che tiene tra le mani la lunga chioma della donna. C’è forse anche un richiamo alla pubblicità che si è servita varie volte della Gioconda o dell’uso irriverente che Duchamp o Andy Warhol o ancora Botero, Banksy o più recente JeanMichel Basquiat ne hanno fatto?

Oggi quella inquietudine, quel malessere, quella difficoltà di vivere e di comunicare, quella rabbia sottolineata anche da Cristina Trivellin in “Tempo e Memoria” e da Lorella Giudici in: “Dentro e dietro la pittura” appare, almeno nella mia lettura dell’opera di Pedro Fiol, essersi placata nell’ultimo dipinto di grandi dimensioni in cui, sperimentando una tecnica mista di olio mischiato a sabbia, apre il suo mondo al paesaggio verso cui un giovane uomo di spalle avanza: sono alberi, verde luminoso, un ambiente sereno, aperto.

l titolo della mostra “Percorso obbligatorio” da il senso del viaggio intimo e personale dell’artista da quella lontana partenza da Cuba, da quel bagaglio di tradizione, di vita, di legami, di “cose”, di ricordi alla ricerca, spesso drammatica (lo spezzare certi legami non è mai indolore, richiede molta forza, spesso si rivela traumatico) sicuramente intimamente sofferta anche se ritenuta necessaria, del senso della vita, della propria esistenza: E ‘ il prezzo più alto che un artista deve pagare alla sua sensibilità esasperata, alla sua inquietudine .

Pedro Fiol non si stacca mai dalla realtà perché capisce che deve ricercare in essa, ma questa è popolata da figure che appaiono ma subito vengono risucchiate dal buio, perdono la loro consistenza, diventano sfuggenti, immateriali ma per quell’attimo hanno avuto significato nel vissuto di Fiol e da lui fermate nelle tele forse per meglio focalizzarle e in seguito esorcizzarle.
Si percepisce la coscienza che la vita è fatta dall’accettazione di ogni momento, anche il più insignificante e che il suo essere artista è fonte di travaglio, ma anche, nell’atto della creazione, gli offre la possibilità di riscatto, di via d’uscita.
Il suo essere artista gli offre quell’equilibrio a lungo inseguito, con un sentimento di intimo tormento mai compiaciuto né morbosamente ricercato, in cui crogiolarsi, ma vissuto con autentica sofferenza.